Alcune riflessioni a partire dall’Osservatorio sul Disagio Adolescenziale

Psicologia Psicosomatica – 19 – Pubblicato il 30 Settembre 2012  (ARTICOLO IN PDF)

di Mark Morbe

Il mondo della scuola ha subito importanti cambiamenti nell’ultimo decennio; nessun fattore ha contribuito, tuttavia, in modo così considerevole a tale cambiamento quanto gli studenti stessi. A partire dall’esperienza dell’Osservatorio sul Disagio Adolescenziale, l’articolo intende analizzare alcuni dei processi di trasformazione in corso che rendono gli studenti diversi “da quelli di una volta”.

“Sembra proprio che si viva su pianeti diversi, al punto da sentirci incapacitati nel nostro compito di trasmissione: i ragazzi non ascoltano e sembra che non ci sia nemmeno più una interazione. Li trovo poco consapevoli rispetto a quello che stanno facendo e questo mi provoca una enorme amarezza.” Come biasimare tale amarezza. Questa voce di insegnante è una tra le molteplici che partecipano all’ Osservatorio sul Disagio Adolescenziale dell’Istituto di Psicosomatica Integrata. Obiettivo dell’osservatorio è di penetrare la comprensione e l’approfondimento dei radicali processi di trasformazione degli adolescenti dell’ultimo decennio e delle loro menti “errabonde”. A tal scopo è stato necessario interrogare l’esperienza relazionale, sia quella che proviene dalla clinica dagli studi di psicologi e psicoterapeuti sia quella che, derivando dall’insegnamento, è meno filtrata e per certi versi più emergenziale.

Durante il primo quadrimestre di lavoro congiunto è stato possibile affrontare fenomeni in aumento quali la tossicodipendenza, gli stati di iperattivazione, la disattenzione, i disturbi dell’apprendimento, ma il tentativo continuo è stato di collocare tali sintomatologie all’interno di complessi e interrelati contesti bio-psico-sociali. L’impressione, corroborata da un numero di evidenze scientifiche in aumento, è che ci troviamo di fronte a ragazzi le cui menti sono diverse, non tanto su un piano quantitativo, quanto su un piano qualitativo rispetto alla sola generazione precedente. In altre parole i ragazzi non sono “meno attenti”, “più iperattivi”, “meno educati” o “meno consapevoli”, ma piuttosto hanno una mente che si sta formando secondo parametri differenti: un esempio è costituto da una predisposizione alla scelta rapida rispetto ad una maturata attraverso la riflessione. Di seguito, alcune caratteristiche di queste nuove menti, particolarmente rilevabili nei contesti scolastici e che pongono una reale sfida all’insegnamento.

La lettura digitale

Perfino i docenti di un liceo scientifico di Milano come il Donatelli-Pascal, che partecipano all’Osservatorio, lamentano la difficoltà con la quale i propri studenti si approcciano alla lettura. Ad un primo livello di analisi i ragazzi appaiano svogliati e indolenti nei confronti di questa attività. Leggono malvolentieri i libri assegnati ed è evidente che spesso la loro lettura si riduce ad un forma iper-riassunta del testo trovata su internet. Partendo, invece, da un punto di vista più approfondito, che ci viene mostrato, ad esempio, attraverso la prospettiva neuropsicologica, la realtà appare ben più complessa: si può osservare come l’apparente pigrizia nasconda un vero e proprio stile di lettura, o meglio di non-lettura. I movimenti oculari dei “nativi digitali”, infatti, scorrono testi sulle pagine web con l’impressionante velocità di 100 parole ogni 4,4 secondi, quando nello stesso tempo risulta possibile leggerne in media solo 18. Dal punto di vista prettamente neuropsicologico è il diverso incedere dello “scorrere” che si sostituisce al “leggere” a caratterizzare l’approccio al testo. Viene definito “screening a F”, chiamato così dalla forma del movimento oculare, il modo in cui gli occhi seguono il testo nelle prime righe, saltandone poi qualcuna, e catturando qualche elemento dei paragrafi successivi, scorrendo infine rapidamente verso il fondo. Questa modalità di non-lettura permette ai ragazzi di essere esperti rilevatori di elementi salienti nelle pagine digitali. Tuttavia, tale stile si fa problematico quando viene trasferito sul supporto cartaceo e in generale quando è necessario effettivamente leggere il testo. Il fattore chiave è il tempo. Maggiore è il tempo che si trascorre sulle parole, maggiori sono le possibilità di farle proprie, analizzarle, affrontarle criticamente. Abilità, queste ultime, ben diverse dalla selezione rapida delle parole più importanti in cui le nuove generazioni mostrano tanta perizia. È interessante notare come il mercato dei testi scolastici, attraverso libri sempre più ricchi di immagini, grafici,tabelle, rimandi web e brevi scritti, si adegui allo stile distintivo delle giovani menti e, per certi versi, lo sostenga, incentivando a propria volta quei rapidi movimenti oculari che caratterizzano la non-lettura.

L’oblio, colonna portante

L’impressione testimoniata da numerosi insegnanti è che la memoria delle nuove generazioni si stia affievolendo. Affrontato anche in ambito sociologico, il fenomeno, che ha portata globale ed è riscontrabile in tutte le fasce d’età, è legato probabilmente anche ai sempre più assidui processi di delega a memorie esterne. Come lucidamente descrive, ad esempio, il semiologo Raffaele Simone (2012), l’oblio che stiamo sperimentando procede per gradi: “Si comincia dai dati inerti: i numeri di telefono non vanno più memorizzati; (…) poi sono colpite le procedure algoritmiche. (…) Successivamente sono colpite le aree della  conoscenza condivisa, per esempio il sapere pratico, che consiste nel saper fare alcune cose senza saperle né descrivere né spiegare. Infine, e più drammaticamente, l’oblio ha colpito l’idea stessa della storia, del passato, dell’antico, che ritornano per lo più in versioni fantastiche, con gli effetti speciali del cinema (…).” Effettivamente continua ad aumentare la quantità di strumenti ai quali quotidianamente affidiamo parte della nostra memoria: agende elettroniche, calcolatrici, computer, smartphone, chiavette USB, memorie esterne, social network, i sistemi cloud e così via. Se l’oblio si sta lentamente impossessando delle nostre menti adulte, nelle menti degli adolescenti occupa la posizione di colonna portante. Le nuove menti sembrano strutturarsi, infatti, sul non-ricordo, e la memoria viene automaticamente stampellata da strumenti esterni. Facebook, ad esempio, è congegnato sulla possibilità di registrare in tempo reale tutto ciò che accade nella propria vita, attraverso brevi frasi, ma soprattutto immagini e video, senza che la memoria vi sia in alcun modo implicata. Sarebbe tuttavia riduttivo limitarsi a individuare nei soli mezzi tecnologici le ragioni dell’oblio. Scognamiglio (1993) sosteneva ancora negli anni novanta che, nel trattare i disturbi dell’apprendimento, sia fondamentale considerare, oltre alla componente neurologica e cognitiva, anche la componente affettiva; i processi di rimozione, in difesa da una verità troppo dolorosa per essere tollerata, come ad esempio quella della storia familiare, possono influenzare il rapporto che intessiamo con il sapere. Oggi il fenomeno dell’oblio appare massivo. È possibile ipotizzare, di conseguenza, che la perdita di memoria e l’appiattimento del tempo in un perenne presente, al massimo proteso al domani, rispecchi potenti fenomeni sociali di rimozione, al punto da rendere l’oblio un vero e proprio valore sociale. L’hic et nunc, la dimensione di presenza nell’istante, ha una dimensione meditativa. Umberto Eco, in quella che chiama Ars Oblivionalis, l’arte e la ricerca della dimenticanza, propone soluzioni per perdersi, ad esempio attraverso la lettura, dimentichi del mondo, “in un totale assorbimento mentale”; tuttavia, come verrà trattato anche in seguito, le menti moderne non si perdono nella routine quotidiana, troppo accelerata per garantire veri spazi meditativi, ma si disperdono. Il processo può essere letto nella sua circolarità: la cultura della performance, in cui è sacrificata la dimensione degli affetti, specializza la propria tecnica in modo da garantire maggiore prestanza; la tecnica, a propria volta, dà forma alle menti rendendole più performanti e meno in grado di gestire il mondo emotivo. L’oblio, non il ricordo, in particolare nelle nuove generazioni, può reggere così l’impalcatura della mente garantendo un certo grado di stabilità.

Menti multitasking

Le nuove generazioni sono anche caratterizzate da una predisposizione al multitasking, ovvero alla capacità di portare avanti più compiti contemporaneamente. Spesso lo studio è accompagnato da un flusso continuo di immagini provenienti dal televisore, mentre gli auricolari trasmettono musica e scambi di messaggi si susseguono tra social network e cellulare. La necessità di gestire tutte queste attività abitua i giovani ad alti stati di iperattivazione corporea, dipendenti da stimolazioni esterne. Ciò è in parte causa della difficoltà di insegnamento attraverso lezioni frontali, troppo poco stimolanti per i livelli di attivazione ai quali i nativi digitali non possono più fare a meno. Il risultato è che spesso ricercano altrove tale stimolazione, frequentemente attraverso comportamenti di disturbo alla classe, nel tentativo di tenere occupati i loro corpi irrequieti. Il multitasking, inoltre, altera i processi di pensiero: lavorare, studiare, giocare, tenere dei contatti pressoché simultaneamente, infatti, allena la mente alla scelta rapida, decurtando energia cognitiva dall’attività di pensiero approfondito. Per certi versi il multitasking, più viene “praticato” più predispone ad un pensiero a rete, in parallelo, a discapito del pensiero lineare e causale. I nessi tra argomenti diversi si fanno, in questo modo, arbitrari o molto labili. I temi prodotti dai nativi digitali, spesso caratterizzati da una giustapposizione di paragrafi, per lo più privi di elementi di congiunzione sintattica o logica, segnano l’enorme difficoltà di seguire o dar vita a narrative. Tuttavia, va sottolineato come il pensiero in parallelo, tipico dell’emisfero celebrale destro, non costituisca un problema di per sé; il linguaggio e la poesia, per esempio, lateralizzate nell’emisfero destro, si servono del pensiero a rete. Ciò che, quindi, costituisce un elemento di limite delle menti del XXI secolo riguarda il deficit di integrazione tra le qualità dell’emisfero destro, multitasking compreso, con il pensiero lineare e causale, di dominio dell’emisfero sinistro.

Metaprocessualità e Alessitima

La stessa difficoltà che riscontrano i docenti nelle scuole è rilevabile anche nella clinica psicologica. “È necessario creare un punto zero da cui partire. I ragazzi di oggi sono diversi ed è fondamentale comprendere tale alterità al fine di intessere dei rapporti”, sostiene Scognamiglio nel corso dell’Osservatorio. “La difficoltà nel produrre narrative è rintracciabile a più livelli, compreso quello soggettivo. Le nuove generazioni, infatti, per quanto paradossalmente abili nel muoversi nella rete, sono sempre più incapaci di generare link”. Mancano le cosiddette abilità metaprocessuali, ovvero la consapevolezza del pensiero stesso. Di fronte a richieste di spiegazioni sui motivi delle loro esternazioni, per esempio, gli adolescenti si trovano spesso smarriti e confusi, come incapaci di intendere la domanda. Un ulteriore livello deficitario riguarda la capacità di impiegare le informazioni corporee per orientare il pensiero e l’azione. Un fenomeno clinico, questo, già presente a metà del XX secolo e che trova negli anni novanta un massiccio investimento di ricerca. Nel tentativo di indicare una categoria di pazienti, tale deficit venne definito alessitimia, letteralmente una incapacità di “leggere le emozioni”. L’assonanza con le difficoltà di lettura descritte sopra è appropriata. La nascita di un’emozione si accompagna ad una specifica attivazione corporea, in una complessa relazione di causa-effetto. L’emozione costituisce un messaggio che consente di comprendere la contingenza e quindi di dirigere l’azione successiva. Il rapporto tra comprensione della contingenza e emozione risulta compromesso nei pazienti alessitimici. Oggi assistiamo ad un dilagare di tali pazienti, che agiscono guidati dall’emozione, senza interporre processi di elaborazione; così l’emozione genera un agito, il cosiddetto acting out, il passaggio all’atto privo di legami consapevoli con l’elemento scatenante. In questo senso, possiamo ricollegarci all’incapacità di generare dei link, tipica delle nuove generazioni. In definitiva, nei pazienti attuali è sempre più complesso individuare due dei principali prerequisiti che hanno caratterizzato fino ad ora la possibilità di un lavoro psicologico: la mente analitica e la capacità di “leggere le emozioni”.

Evoluzione e Involuzione

“È difficile determinare se si tratti di un processo evolutivo o involutivo”, afferma Russo, responsabile del settore scuole dell’Istituto. “Il nostro lavoro ci porta, tuttavia, a riscontrare come nell’ultimo decennio la gravità dei pazienti che curiamo sia aumentata; certamente stiamo osservando un processo di rapido adattamento ai nostri contesti di vita accelerati, al quale le giovani menti rispondono con altrettanta celerità”. Le ragioni di tali adattamenti, che si adeguano alle leggi dell’evoluzione darwiniane, sono state ampiamente analizzate nel corso dell’Osservatorio. Tra queste, possiamo elencare: il livellamento dei ruoli sociali e una progressiva esautorazione della funzione normativa nella società attuale, che pone un pesante limite al ruolo genitoriale, al ruolo dell’insegnante e a quello della legge stessa; la disregolazione affettiva dovuta ad una mancanza di costanza relazionale nei contesti familiari, gruppali e sociali; la rottura della catena trasmissiva tra le generazioni, fattore che sostiene i fenomeni di oblio descritti sopra; l’accelerazione dei ritmi di vita. Questi sono solo alcuni degli elementi che concorrono a modificare i nostri ambienti di vita. Un ruolo cardine, inoltre, è dato dall’introduzione massiva delle nuove tecnologie nella quotidianità. I nostri cervelli prendono forma, grazie alla loro neuroplasticità, anche in base ai tipi di strumenti che utilizziamo. Il cervello di un chitarrista esperto riconoscerà la chitarra come prolungamento dell’arto stesso e avrà un numero di connessioni neurali, relative ai movimenti della mano che esegue gli accordi, superiori alla media. Allo stesso modo un sommelier avrà un cervello più allenato alla discriminazione dei sapori, di conseguenza con più connessioni a livello dell’area adibita al gusto. Crescere in un ambiente digitale predispone alla costituzione di una mente digitalizzata, con tutte le conseguenze messe in luce nei paragrafi precedenti. “Il processo è reversibile?” chiede un professore. “Parzialmente” è la risposta che attualmente fornisce la scienza, “e solo attraverso un differente tipo di allenamento”. In realtà, la questione della plasticità è legata principalmente ai tempi di esposizione. Maggiore è il tempo dedicato ad un determinato compito, maggiori sono le connessioni corticali che sviluppiamo; quando gli studenti passano la gran parte della giornata (anche a scuola) collegati ad uno o più device, è difficile introdurre dei cambiamenti sostanziali in breve tempo .

Prospettive 

Risulta, infine, importante interrogarsi su come intercettare gli sviluppi nei processi di strutturazione della mente in corso, al fine di continuare a garantire la funzione trasformativa dell’insegnamento, mestiere che Freud definisce “impossibile”. Una via percorribile è costituita da una serie di interventi per così dire “inattuali”. In una società che va sempre più nella direzione della parcellizzazione, il lavoro di rete risulta essere una risorsa preziosa. La possibilità di confronto con dei clinici  ha lo scopo di sgravare i docenti, già oberati dalle difficoltà del sistema scolastico, dalle aspettative salvifiche genitoriali, dal senso di solitudine e di iperresponsabilità. I clinici infatti, oltre a offrire chiavi di lettura dei fenomeni complessi che attraversano anche il mondo della scuola, possono fornire importanti strumenti di natura pratico-relazionale. Ad esempio, come abbiamo visto, il fenomeno dell’irrequietezza motoria, spesso attribuito ad una cattiva volontà da parte del ragazzo, o ad un affronto al ruolo del professore, può essere dovuto ad uno stato costante di iperattivazione corporea tipico dei nativi digitali; tale attivazione è gestibile attraverso specifiche tecniche di riduzione dell’arousal. Il ruolo dello psicologo in questo caso ha la funzione di restituire agli occhi dell’insegnante una lettura ampliata dei comportamenti dei propri studenti a partire dalla consapevolezza dei radicali processi di trasformazione in atto nella nostra società. Un secondo piano di lavoro di rete può essere pensato in diretto contatto con lo studente. In questo caso il clinico, lavorando a fianco dei docenti, può garantire all’adolescente un riferimento stabile di senso. Tornando all’esempio citato sopra, fornire allo studente irrequieto una possibilità elaborativa in un contesto psicologico può costituire una funzione complementare al lavoro svolto in classe. In questo caso, in Istituto di Psicosomatica Integrata, la pratica clinica consiste spesso nel riagganciare l’esperienza ai vissuti corporei, al fine di aprire la strada a processi di contestualizzazione e di ricostruzione di una narrativa soggettiva.

In conclusione, la qualità della mente dei ragazzi di oggi è di diversa natura rispetto alla sola generazione precedente; tale cambiamento risponde ad una serie di adattamenti specifici relativi all’ambiente in cui viviamo. L’oblio, il multitasking, la difficoltà di generare link e leggere le emozioni, sono alcune delle caratteristiche di tali menti; la clinica psicologica riconosce sempre più spesso connessioni tra i corpi irrequieti, sregolati, iperattivati e sintomatologie quali i disturbi dell’apprendimento, l’anoressia-bulimia e le dipendenze. Le principali sfide poste all’insegnamento, oggi, consistono nel riconoscere tali sintomatologie quali “soluzioni” adattive sviluppate ai problemi della società attuale, valorizzare quanto “utile” a tale adattamento e trasmettere alle nuove generazioni qualche elemento di alterità proveniente dal passato. Quanto maggiori le sfide, tanto più grande è la necessità di lavorare in rete.

Un ringraziamento particolare ai docenti per la feconda partecipazione all’Osservatorio

BIBLIOGRAFIA

Eco, U. & Migiel, M. (1988). An Ars Oblivionis Forget It. PMLA, CIII, 3. pp. 254-261. Recentemente ripubblicato su “Il Foglio”, 21/05/12.

Scognamiglio, R.M. (1993). Adolescenza e insuccesso scolastico. In “I sentieri dell’adolescenza” a cura di Bresciani R., Rossi E. & De Felice M. Franco Angeli Editore, Milano.

Scognamiglio, R.M & Russo, S.M. (2012). Ciclo di seminari, Osservatorio sul disagio Adolescenziale.

Simone R. (2012). Presi nella rete, la mente ai tempi del web. Garzanti Libri, Milano.