[intlink id=”291″ type=”page”]di Riccardo Marco Scognamiglio[/intlink]
Psicologia Psicosomatica – 14 – Pubblicato 24 Aprile 2012
Le strutture morfogenetiche, in natura, sono impensabili separatamente da una loro funzione adattiva. Le macule dei mantelli e delle piume animali, o i pigmenti vegetali, ossia la dimensione più evidente dell’apparire, veicolano, ad esempio, funzioni primarie complesse di soppravvivenza: la regolazione fototermica dell’omeostasi, il mimetismo difensivo o predatorio, la mascherata intimidatorio-aggressiva piuttosto che quella attrattivo-erotica. Esiste, dunque, nel mondo naturale una sovradimensione “estetica” che non è altro che un macrosistema di organizzazione di processi d’adattamento.
Tutto ciò perde di evidenza nella specie umana, in cui la dimensione dell’apparire sembra sovrastrutturalmente appartenere al registro del gusto estetico e i processi adattivi paiono riferirsi esclusivamente ai sistemi di regolazione superiori del pensiero.
Il passaggio della specie umana alla postura eretta, la vittoria cioè, da parte del sistema tonico-muscolare sulla forza di gravità, ha comportato indubbi cambiamenti della struttura morfologico-funzionale del corpo: la perdita della coda e l’acquisizione della funzione opponente del pollice nella mano, connessa con uno sviluppo specifico del Neocortex cerebrale. Ciò indubbiamente ha spostato l’asse delle difese e risorse adattive, dalla struttura morfologica del corpo a quella del pensiero creativo e produttivo. Ne sono nati, grazie alle funzioni analogiche del pensiero, utensili protesici del corpo che ricostruivano funzioni-strutture perdute rispetto al mondo animale, potenziandone enormemente l’efficacia: alla zanna si sostituisce la spada; al carapace, lo scudo e la corazza; alla velocità, la ruota, la freccia e così via. L’uomo, la “scimmia nuda” – per citare Desmond Morris – che ha perso ogni difesa, diventa capace di recuperare le funzioni di sopravvivenza di moltissime specie animali, adattandosi via via a habitat fra i più diversi.
Nella specie umana, tuttavia, la dimensione estetico-morfologica continua a mantenere una serie di funzioni basiche di adattamento, sebbene confuse con componenti di natura culturale e ideologica. Le dismorfofobie rilevano, ad esempio, la difficoltà di accettare le strutture dell’apparire così come sono, come se fossero qualcosa in più che il semplice supporto di funzioni fisiologiche, come il respirare, il mangiare e così via. La stessa volontà di manipolare e modificare in senso estetico, chirurgicamente o cosmetologicamente, i tratti somatici fa riflettere sul fatto che i tratti morfologici rappresentano segni ben precisi nella semiotica primaria dell’adattamento, che rievoca specifici ruoli etologici ormai dimenticati, come, ad esempio, il predatore e la preda. Una mandibola marcatamente più ampia della linea zigomatica, ad esempio, induce automaticamente, all’impatto semplicemente visivo, l’attivazione di memorie filogenetiche ataviche connesse all’incontro con un predatore.
E il naso? Quali richiami ancestrali induce?
Anche il naso, nel passaggio dalla specie animale a quella umana, subisce considerevoli trasformazioni morfologico-funzionali che sembrano averlo spogliato delle funzioni primarie di adattamento. Tuttavia, possiede anch’esso una funzione segnica che induce subliminalmente a orientarsi inconsciamente nella relazione con l’Altro, in termini di affidabilità e gestione del potere…